• CARO SAN GIUSEPPE,                            
  • “CONVERSAZIONE”                   DI D. TONINO BELLO                                         
  • Don Tonino Bello (4 Marzo 1990)                                                            
  • SCUSAMI SE APPROFITTO DELLA TUA OSPITALITÀ e mi fermo per una mezz’oretta nella tua bottega di falegname per scambiare quattro chiacchiere con te. Non voglio farti perdere tempo. Vedo che ne hai così poco, e la mole di lavoro ti sovrasta. Perciò, tu continua pure a piallare il tuo legno, mentre io, seduto su una panca, in mezzo ai trucioli che profumano di resine, ti affido le mie confidenze.
  • VEDI , UN TEMPO ANCHE DA NOI le botteghe degli artigiani erano il ritrovo degli umili, vi si parlava di tutto, di affari, di donne, delle stagioni, della vita, della morte. Oggi purtroppo qui da noi di botteghe artigiane ne sono rimaste poche. Al loro posto sono subentrate le grandi aziende di consumo
  • ECCO ATTRAVERSO L’USCIO socchiuso, scorgo di là Maria intenta a ricamare un panno bellissimo, senza cuciture, tutto tessuto d’un pezzo da cima a fondo. Probabilmente è la tunica di Gesù, ma non per quando nascerà, per quando sarà grande: gliela prepara fin d’ora, prima già che lui nasca. Una cosa, però, intuisco: che quando tuo figlio indosserà quella tunica, lui, l’eterno, si sentirà le spalle amorosamente protette dal fragile tempo di sua Madre.
  • POVERA MARIA. A suo figlio, vorrebbe dargliela tutta intera la sua vita. Ma non può. Allora gliene regala una porzione, fin da adesso, racchiusa nello scrigno di quella tunica. Forse un giorno, proprio per questo, sulla vetta del Golgota, gli uomini della Croce non vorranno lacerarla.
  • MA SE OGGI QUI DA NOI di botteghe artigiane è rimasto solo qualche scampolo, non è tanto perché non si genera più, quanto perché ormai non si ripara più nulla. Quando un oggetto si è anche leggermente incrinato lo si mette da parte senza appello. La nostra la chiamiamo perciò la civiltà dell’usa e getta!. Ma che c’è Giuseppe! Vedo che ti sei fermato col martello, brandito a mezz’aria… Ho capito!
    Quel tuo sguardo vuol dire: “mi fate pietà”! Si, hai ragione Questi sono i misteri buffi, di cui vergognarci e contro cui ribellarci e nel cui oceano stiamo tutti facendo naufragio.
  • VEDI , GIUSEPPE, da quando sono entrato nella tua bottega, quante carezze non hai fatto su quel legno denudato dalla pialla! Tutte le volte che l’hai strisciato con il ferro, subito vi sei passato sopra con la mano, leggera come la luce Oggi purtroppo da noi, non si carezza più, si consuma solo, anzi si concupisce. Le mani incapaci di dono, sono divenute artigli, le braccia troppo lunghe per amplessi oblativi…
  • MA ANCHE LE PERSONE! Il corpo, degradato a merce di scambio, è divenuto spazio pubblicitario e manichino per prodotti di consumo! L’eros mercantile corrode alla radice i rapporti interumani, frantuma l’intimità, irride la famiglia, commercializza la donna. E con i postulati di marketing degli spot televisivi, spersonalizza la sessualità, riducendola ad una variabile della cupidigia di potere.
  • VEDO PERO’ CHE SI FA TARDI. Il sole, calando sulla pianura di Esdrelon, illumina di porpora gli ultimi contrafforti dei monti di Galilea. E io ancora non ti ho detto la ragione fondamentale per la quale sono venuto qui da te. caro San Giuseppe, io sono venuto qui, soprattutto per conoscerti meglio come sposo di Maria, come padre di Gesù, e come capo di una famiglia per la quale hai consacrato la vita.
  • DIMMI, GIUSEPPE, QUAND’E’ CHE HAI CONOSCIUTO MARIA? Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con l’anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso? Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il capo con la prima carezza, che forse era la sua prima benedizione e tu non lo sapevi? È la notte tu hai intriso il cuscino con lacrime di felicità. Ti scriveva lettere d’amore? Forse si! Poi una notte hai preso il coraggio a due mani e sei andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e le hai cantato le strofe del Cantico dei Cantici: Alzati amica mia, mia bella e vieni, è cessata la pioggia,i fiori sono apparsi nei campi e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Alzati amica mia, e vieni! mostrami il tuo viso, fammi sentire la tuia voce, perché la tua voce è soave e il tuo viso è leggiadro.
  • E LA TUA AMICA, LA TUA BELLA si è alzata davvero, è venuta sulla strada, facendoti trasalire, ti ha preso la mano nella sua e mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto. Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Jahvè. Di un angelo del Signore.  Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande dell’universo …Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, e di dimenticarla per sempre. Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore e le dicesti tremando: “Per me, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condi

    videre i tuoi, Maria, purché mi faccia stare con te”. Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente.Ma io penso che hai avuto più coraggio tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del Signore. tutto Lei ha puntato sull’onnipotenza del Creatore. Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura. Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più La carità ha fatto il resto in te e in lei.

  • MA ORA GIUSEPPE, cambiamo discorso! Sta arrivando una donna dal forno. Ecco, ti ha portato del pane, e la bottega si è subito riempita di fragranza. Si direbbe che il pane, più che per nutrire, è nato per essere condiviso: con gli amici, con i poveri, con i pellegrini, con gli ospiti di passaggio! E’ proprio vero, Giuseppe. Il pane è il sacramento più giusto del tuo vincolo con Maria. Lei morde ogni giorno quello di frumento, procuratole da te col sudore della fronte.

  • INSEGNACI, ALLORA A CONDIVIDERE IL  PANE CON I FRATELLI POVERI, in questo nostro mondo, dove purtroppo muoiono ancora milioni di persone per fame. Il pane da segno di comunione, si è trasformato in simbolo della scomunica, ed è divenuto il discrimine sul cui filo passa la logica della guerra: viene accaparrato dagli ingordi, non condiviso dai poveri, ammuffisce nelle credenze degli avidi, non allieta la madia degli umili, si accumula negli artigli di pochi, non si distribuisce sulle bocche di tutti! Sovrabbonda nei bidoni della spazzatura d’Europa, ma è sparito sulle mense desolate per tutti i Sud della Terra!
  • SILENZIO, GIUSEPPE, un carro si è fermato alla tua porta. Entra un uomo, molto stanco, e poggia sul bancone un piccolo otre di vino, e dice: “Ti ho portato un po’ di vino, dalle vigne di Engaddi, laggiù presso il Mar Morto. E’ di quello buono. Bevilo Giuseppe, alla mia salute con la tua sposa. So che aspettate un figlio”.
  • MA, VEDO GIUSEPPE che ti accingi a chiudere, perché hai preso un orciolo di terracotta e stai uscendo per riempirlo d’acqua alla fonte vicina. Ci vuole infatti un bel coraggio a dire che il vino è segno di gratuità e di festa, quando per noi è divenuto l’emblema drammatico dell’evasione e della fuga, che accomuna i tossici agli alcolisti, gli ultras ai barboni!
  • MA PERCHE’ MAI il vino si è pervertito in idolo fascinoso per chi getta le armi e rinuncia ad un’esistenza faticosa da vivere? Il motivo c’è: abbiamo smarrito l’ebbrezza della gratuità e c’è rimasta solo l’ebbrezza dell’alcol! In un mondo del genere, come può esplodere la gioia? Ci si lascia vivere! Si muore per anemia cronica di gioia, si moltiplicano le feste, ma manca la Festa! E le letizie diventano sbornie!
  • L’ACQUA, IL VINO, IL PANE: la trilogia di un’esistenza ridotta all’essenziale! Li porterò con me, …Mi serviranno tanto, sulla mia strada di viandante un po’ stanco. E serviranno tanto anche alla mia Chiesa, anzi quando mi chiederà qualcosa, spero di non aver null’altro da darle che questo: né denaro, né prestigio, né potere, ma solo acqua, vino e pane!
  • SI E’ FATTO TARDI, GIUSEPPE. Nella piazza non c’è più nessuno. Nelle case, le famiglie recitano lo “Shemà Israel”. E tra poco Nazareth si addormenterà sotto la luna. Di là, vicino al fuoco, la cena è pronta. Cena di povera gente. L’acqua della fonte, il pane di giornata, e il vino di Engaddi. E poi c’è Maria che ti aspetta. Ti prego: quando entri da lei, sfiorala con un bacio. Falle una carezza pure per me. E dille che anch’io le voglio bene. Da morire! Buona notte, Giuseppe!     + Don Tonino Bello (4 Marzo 1990)
  • GRAZIE S. GIUSEPPE…e grazie d. Tonino bello. e voi che ne dite, amici? dv 3338890862 sito:www.donvincenzoalesiani.it

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