L’AMORE DI CRISTO CI SPINGE (2Cor 5,14)
IN CAMMINO CON S. PAOLO E D. ORIONE
- PARTIMMO ALLA VOLTA DI ROMA – Lectio Divina di Atti cc. 21-28
- Cari amici, una breve premessa è d’obbligo: NEL GIORNO 25 GENNAIO 2021 mi sembra bello e quasi una necessità del cuore, ripercorrere con S. Paolo il suo ultimo viaggio verso Roma… Lo vogliamo rileggere e meditare con i Seminaristi del Teologico Don Orione di Roma. e con tutti voi che avete avuto la pazienza e il piacere di questa rilettura delle pagine più significative di ATTI DEGLI APOSTOLI… Noterete immediatamente alcuni verbi sottolineati per il loro particolare valore per la STORICITA’ del racconto. I verbi sono alla prima persona plurale… sono i cosiddetti “BRANI NOI”. Si, perché ad accompagnare Paolo in questo ultimo viaggio c’è anche LUCA IL “CARO MEDICO” di Paolo che sottolinea preziosi dettagli storico-geografici che solo UN TESTIMONE OCULARE poteva conoscere. La cartina geografica ci aiuta visivamente a capire l’itinerario
- LA PARTENZA PER ROMA – Atti cc. 27 – 28 1 Quando fu deciso che CI IMBARCASSIMO per l’Italia, consegnarono Paolo, insieme ad alcuni altri prigionieri, a un centurione di nome GIULIO della coorte Augusta. SALIMMO SU UNA NAVE DI ADRAMITTO, che stava per partire verso i porti della provincia d’Asia e SALPAMMO, avendo con noi ARISTARCO, un Macèdone di Tessalonica. Il giorno dopo FACEMMO SCALO A SIDONE e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure. Salpati di là, NAVIGAMMO AL RIPARO DI CIPRO a motivo dei venti contrari e, attraversato il mare della Cilicia e della Panfilia, GIUNGEMMO A MIRA DI LICIA. Qui il centurione trovò una nave di Alessandria in partenza per l’Italia e CI FECE SALIRE A BORDO. Navigammo lentamente parecchi giorni, giungendo a fatica all’altezza di Cnido. Poi, siccome il vento non ci permetteva di approdare, prendemmo a navigare al riparo di Creta, dalle parti di Salmona, e costeggiandola a fatica giungemmo in una località chiamata Buoni Porti, vicino alla quale era la città di Lasèa.
- LA TEMPESTA E IL NAUFRAGIO E poiché quel porto era poco adatto a trascorrervi l’inverno, i più furono del parere di salpare di là nella speranza di andare a svernare a Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale. Appena cominciò a soffiare un leggero scirocco, convinti di potere ormai realizzare il progetto, levarono le ancore e costeggiavano da vicino Creta. Ma dopo non molto tempo si scatenò contro l’isola un vento d’uragano, detto allora “Euroaquilone”. La nave fu travolta nel turbine e, non potendo più resistere al vento, abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva. Sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare a mare il carico; il terzo giorno con le proprie mani buttarono via l’attrezzatura della nave. Da vari giorni non comparivano più né sole, né stelle e la violenta tempesta continuava a infuriare, per cui ogni speranza di salvarci sembrava ormai perduta.
- ERAVAMO 276 PERSONE:ANDAVAMO ALLA DERIVA NELL’ADRIATICO Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell’Adriatico, verso mezzanotte i marinai ebbero l’impressione che una qualche terra si avvicinava. Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo: “Oggi è il 14.mo giorno che passate digiuni nell’attesa, senza prender nulla. Per questo vi esorto a prender cibo; è necessario per la vostra salvezza. Neanche un capello del vostro capo andrà perduto”. Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare. Tutti si sentirono rianimati, e anch’essi presero cibo. ERAVAMO COMPLESSIVAMENTE SULLA NAVE 276 PERSONE. Quando si furono rifocillati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare.
- 28: SOGGIORNO A MALTA Una volta in salvo, venimmo a sapere che l’isola si chiamava Malta. Gli indigeni ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un gran fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia ed era freddo. Mentre Paolo raccoglieva un fascio di sarmenti e lo gettava sul fuoco, una vipera, risvegliata dal calore, lo morse a una mano. Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli indigeni dicevano tra loro: “Certamente costui è un assassino, se, anche scampato dal mare, la Giustizia non lo lascia vivere”. Ma egli scosse la serpe nel fuoco e non ne patì alcun male. Quella gente si aspettava di vederlo gonfiare e cadere morto sul colpo, ma, dopo avere molto atteso senza vedere succedergli nulla di straodinario, cambiò parere e diceva che era un dio.
- CI RIFORNIRONO DI TUTTO IL NECESSARIO 7 Nelle vicinanze di quel luogo c’era un terreno appartenente al “primò’ dell’isola, chiamato Publio; questi ci accolse e ci ospitò con benevolenza per tre giorni. Avvenne che il padre di Publio dovette mettersi a letto colpito da febbri e da dissenteria; Paolo l’andò a visitare e dopo aver pregato gli impose le mani e lo guarì. Dopo questo fatto, anche gli altri isolani che avevano malattie accorrevano e venivano sanati; ci colmarono di onori e al momento della partenza ci rifornirono di tutto il necessario.
- PARTIMMO ALLA VOLTA DI ROMA …Dopo tre mesi salpammo su una nave di Alessandria che aveva svernato nell’isola, recante l’insegna dei Diòscuri. Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio.Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l’indomani arrivammo a Pozzuoli. Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Partimmo quindi alla volta di Roma
- I FRATELLI CI VENNERO INCONTRO… I fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio.
- ARRIVATO A ROMA: FINALMENTE UN PO’ DI RIPOSO? Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia. Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a pigione e ACCOGLIEVA TUTTI quelli che venivano a lui, annunziando il regno di dio e insegnando le cose riguardanti IL SIGNORE GESÙ CRISTO…
- DON ORIONE: -UNA LETTERA AGLI ORFANI Roma,11 Gen 1916
“Cari miei figlioli gli orfani dell’Abruzzo e di Sora, che siete alla Colonia di Montemario Non so partire per Avezzano se non vi lascio una parola…Giovedì, dopo domani, è l’anniversario della morte dei vostri amati genitori, l’anniversario del grande dolore della vostra vita e della vostra terra, o miei figlioli, e non vi so dire quanto vivamente amerei esservi vicino…Cari orfani del terremoto, che siete i miei più cari orfani e i più cari miei figlioli nel Signore, vi prometto che, fin che Dio mi darà vita e fin che potrò e quanto più lo potrò, con la grazia del Signore, prometto che vi aiuterò sempre e vi farò da padre in Gesù Cristo. Vi abbraccio spiritualmente in Gesù Cristo, e vi benedico tutti e con tutto l’affetto e ad uno ad uno vi benedico ancora nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo. Amen!”
- CHE NE DITE? RISONANZE PERSONALI…
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